6 Regole per gestire una classe disomogenea - La Palestra

Scarica gratis il numero 111

Gestione

6 Regole per gestire una classe disomogenea

Se con il functional training si vuole far sentire meglio le persone, che si allenano insieme ma che sono diverse tra loro per livello di fitness, ecco sei punti dove è opportuno mettere il focus

Parliamoci chiaro: di ciò che si vede nelle palestre di FUN-ctional Training, il 90% di Functional ha solo la parte FUN, cioè “divertente”. Quanto a seguire una logica di progressione, una ciclizzazione e ancor meglio un controllo su ogni singolo utente, si lascia molto a desiderare.

Come tutte le cose all’inizio, anche il Functional Training visto come attività per le persone “normali” è ancora agli albori, sebbene sia sbarcato in Italia ormai dal 2007. Nove anni dopo non c’è stata ancora un’evoluzione significativa, la maggior parte della gente e dei trainer credono che il Functional sia “allenamento a circuito senza riposo” o col minimo riposo possibile, interval training o tabata di qualsiasi movimento, dove nemmeno “Tabata” a volte viene rispettato nella sua unica versione originale di 8 serie x 20”work -10”rest diventando 4 x 15”-15” o 10 x 30”-10” e via con la fantasia in altri generi di interval training.

Un’accozzaglia di esercizi messi in fila senza un senso logico ma con la logica degli attrezzi che il trainer ha a disposizione, o degli esercizi che piacciono a lui/lei. E quindi vediamo assurdità che vanno dall’uso di finte corde navali di nylon con effetto ZERO sul condizionamento degli arti e cardiovascolare, a kettlebell da 4-6 kg per le donne e 8-12 per i maschi, passando a orrende esecuzioni di kettlebell swing che in realtà sono alzate frontali con ondeggio del bacino e perdita della tenuta del core, overhead squat e press col bilanciere per gente con articolazioni scapolo-omerali bloccate… solo perché magari il trainer si è appassionato al crossfit® e vuole “imitare” la disciplina.

Sei concetti base
E potrei andare avanti ancora parecchio… E dei metodi usati? Peggio che andar di notte: la stragrande maggioranza dei trainer non sa in base a cosa decidere un AMRAP da sette anziché da dodici minuti… o come costruire un EMOM (do per scontato che ALMENO le sigle delle metodiche di lavoro dei workout FT si conoscano, altrimenti siamo alla frutta!). Se ho una classe disomogenea, come è nel 99,9% dei casi, e imposto per esempio un EMOM di tre pull up + sei push up + nove squat… sarà alla portata di tutti? E chi non riuscisse a far pull up? E se dopo tre giri metà classe è già ferma mentre l’altra metà continua, che faccio? Mando quelli fermi al bar aspettando che gli altri terminino? Ecco, questo succede ancora troppo spesso nelle palestre dove “dicono” di far Functional Training.

Ma prima ancora di parlare di pianificazione dei workout, partiamo dalla base dell’insegnamento del FT inteso per la gente normale, che non è il FT inteso per atleti di qualsivoglia disciplina sportiva: lo scopo è quello di migliorare la condizione fisica generale, ovvero le capacità motorie in generale: flessibilità, forza, resistenza, potenza, coordinazione, equilibrio, ecc… senza farsi male!

Quindi, se si vuole effettivamente far migliorare le persone, che si allenano insieme ma che son diverse tra loro per livello di fitness, ecco sei punti dove è opportuno, per ogni trainer che si rispetti, mettere il focus:
1. Saper insegnare gli esercizi
2. Saper vedere gli errori
3. Saperli correggere
4. Saper gestire il gruppo
5. Essere presente e disponibile
6. Dimostrare come si fanno gli esercizicorrettamente.

Considerate questi sei criteri simili alle capacità motorie (forza, resistenza, flessibilità, equilibrio ecc): tanto più inefficiente è un’abilità motoria, tanto meno efficaci saranno le altre. Faccio un paio di esempi: un maratoneta in teoria dovrebbe essere “solo” resistente, ma se non è coordinato, se non ha un buon equilibrio, se non è agile, se non è abbastanza flessibile… non sarà certo un maratoneta al massimo livello. E andiamo all’opposto: un weightlifter che sia “solo” molto forte, se non è anche veloce, mobile e agile non solleverà il vero potenziale di carico che potrebbe se avesse tutte le capacità motorie al top.

Lo stesso discorso vale per la “gente normale”: se non miglioro in modo equo le mie abilità motorie, avrò sempre un’area nella vita dove pagherò pegno (per certi salire cinque rampe di scale con le borse dalla spesa o una valigia, per altri allacciarsi le scarpe, per altri sollevare i figli, spostare un mobile, fare una nuotata di 50 metri). E quindi anche per il trainer che desideri essere un bravo trainer. Deve eccellere in tutti e sei i criteri su citati.

Saper insegnare
Questo assunto riflette la capacità di un allenatore di saper esternare le conoscenze del suo mestiere. La famigerata frase “ho capito, lo so”è una frase che ha fregato un po’ tutti nella vita prima o dopo. Capire come si fa un gesto non significa saperlo spiegare. Ci sono grandi campioni che non sanno insegnare ciò che fanno, questo infatti spiega perché pochi grandi campioni sono anche grandi trainer.

Per insegnare bene non basta solo conoscere il movimento ma è obbligatorio anche saperlo descrivere in più modi, diversi tra loro, usando anche visualizzazioni e metafore. Spiegare gli schemi motori dicendo “si fa così”, credo sia la peggior cosa che si possa sentire da un trainer… Non importa ciò che il trainer vuol dire, importa ciò che il cliente capisce, e sta al trainer entrare nei meccanismi della mente del cliente per allinearsi ed entrare in sintonia.

A volte succede che, per come si esprime un trainer, il cliente sbaglia movimento proprio perché ciò che è stato detto dal trainer non entra nel meccanismo mentale del cliente. Sarà successo a tutti ai tempi della scuola di avere un insegnante che ti faceva amare una materia, mentre altri la facevano detestare. Qui è lo stesso: la materia è quella, ma è come la spieghi che la rende chiara e facile (o meno).

Saper vedere
Se conosco ogni dettaglio del movimento in questione so anche riconoscere dove tale dettaglio è perduto durante il movimento del cliente; se non conosco i dettagli non so dove guardare. O guardo sommariamente. E questa capacità deve essere attiva sia osservando la posizione statica che dinamica del cliente. Faccio un esempio con il kettlebell swing.
Quando carico la bell tra le gambe:
1. In quale angolazione deve stare la schiena?
2. A che punto arrivano le braccia tra le gambe?
3. A che altezza entra la bell tra le gambe?
4. Le gambe devono essere sempre semitese o possono squattare?
5. Dove è diretto lo sguardo mentre swingo?
6. A che altezza deve arrivare la kettle? Sterno, petto o mento?
7. Le braccia devono essere tese, stese o semipiegate?
8. Posso inarcare la schiena? Posso piegare le ginocchia quando la kettlebell è alta davanti a me?
9. Posso ruotare un po’ il busto quando carico la kettle tra le gambe?
10. La kettle quando carica sotto deve avere una direzione a 45° o parallela al suolo?

E potrei aggiungerne altre dieci domande. Capite cosa significa conoscere il dettaglio del movimento adesso? Capite cosa significa saper cosa e dove e quando guardare per scoprire gli errori e poi poterli correggere?

Saper correggere
Questa è la capacità che si ha dalla somma delle due precedenti:
1) conosco la biomeccanica con i movimenti appropriati, 2) intercetto gli errori fatti dai clienti. Da qui correggo errore per errore, partendo dal più grave al meno importante. Restando nell’esempio dello swing appena scritto, il peggior errore sarà inarcare la schiena, e quindi il primo da correggere, mentre il meno importante, se l’altezza raggiunta è petto o sterno.

Gli errori vanno corretti in ordine di gravità ma soprattutto impartendo correzioni brevi e precise. “Schiena dritta” sarà sicuramente più efficace e ben recepito anziché “mi-raccomando-non-inarcare-la-schiena-mentre-alzi-la-kettlebell-che-sennò-ti-fai-male” e via così. Inoltre deve essere un comando preciso.

Idem sarà un valore aggiunto saper usare più modi di correzione: oltre a “schiena dritta” potremmo usare “vai sull’attenti” – “stai verticale” – “dritto come una spada” – “non inarcare” e chi più ne ha più ne usa, perché i clienti hanno modi diversi di recepire un concetto di posizione. Ciò che funziona a meraviglia per alcuni per altri è nonsense. Nel correggere è altrettanto importante “premiare” il cliente che risponde all’errore in modo positivo con “Bravo”, “molto meglio”, “continua così”… questo aiuta a rafforzare l’autostima e a fissare psicologicamente il movimento corretto da parte del cliente stesso.

Saper gestire il gruppo
Quando si hanno più persone contemporaneamente è opportuno mantenere la coesione e l’interesse. Durante la spiegazione delle tecniche e degli schemi motori dovrebbe essere come un balletto, dove il trainer è il coreografo e il gruppo si muove in sintonia, dove chi è meno a livello cerca di copiare chi è più bravo e chi è più bravo cerca di aiutare chi lo è meno, soprattutto facendo da esempio di corretta esecuzione.

Correggere sempre uno ad uno, passare a vedere i movimenti di ognuno da vicino, parlare ad ognuno a voce alta perché ciò che si corregge a tizio può poi tornare utile anche a caio. Durante la spiegazione dei movimenti dei vari esercizi si fanno tante ripetizioni quanti sono i presenti in sala, così da poter dedicare attenzione per una ripetizione ad ogni cliente; ad ogni cliente si regolarizza il livello personale di capacità di esecuzione per quel movimento andando in regressione o in scarico del peso fino alla reale capacità di esecuzione in forma impeccabile.

Presenza e disponibilità
La presenza intesa come EMPATIA col cliente, capire i suoi limiti e le sue paure e affrontarle con lui, assicurandolo, spronandolo e premiandolo con complimenti per ogni piccolo traguardo che raggiunge. Dare importanza all’impegno se c’è. Essere se stessi, e incoraggiare il cliente a sfidare se stesso e cambiare la propria percezione della fatica per affrontarla e superarla, ed entrare a un livello di condizionamento superiore, senza voler confrontarsi con chi è più avanti di lui, che lo frustrerebbe, né bearsi di esser meglio di chi sta dietro, perché non migliorerà mai. Ma voler essere un “se stesso migliore di se stesso della volta prima”. La domanda che vi dovete fare per sapere se avete sfruttato i sei parametri per gestire la classe è: i miei clienti escono atleticamente meglio di come sono entrati?

Dimostrazione
Quando si spiegano gli esercizi bisogna anche saperli fare bene; perché i clienti tenderanno di più a ripetere ciò che vedono rispetto a ciò che sentono. E se può essere che un movimento è complesso e non tutti i trainer magari hanno la mobilità per dimostrare uno snatch, è opportuno che almeno ne sappiano illustrare i punti chiave di passaggio, gli standard che regolano il movimento esatto.
Sempre come esempio lo snatch:
– 1° tirata al ginocchio
– 2° tirata al bacino con braccia (ancora e sempre) tese
– 3° tirata alta o al petto con scrollata spalle e gomiti alti
– fase di colo e incastro
– squat in buca e fissaggio del bilanciere a braccia tese
– overhead squat
– chiudo le gambe
– droppo

posso far vedere i vari step in modo statico con l’uso di un paletto di plastica. Far vedere lo snatch con 90 kg perché si è bravi è un virtuosismo che lasciamo a Klokov… con i suoi 220. Molta scena ma come dimostrazione del movimento basta un paletto. L’ego lo lasciamo fuori dalla palestra, siamo trainer non showmen.
Ultimo Bonus per la conduzione di una classe disomogenea: quando pianificate il workout da fare, ricordate che potrebbe sempre esserci un nuovo cliente che inizia proprio oggi e che dev’essere in grado, con gli opportuni aggiustamenti, di poter stare in classe senza sentirsi un impedito.

Iscriviti alla newsletter