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Ipertrofica disinformazione

Dalle ipocrisie “light” alla confusa faccenda farmaco/integratore. Come riconoscere il corretto comportamento alimentare?

Parto con una citazione di Charles Darwin:

“La ragione scava gallerie nelle fondamenta intuitive”.

Nello scatenamento odierno di rozzezza, sbavatura, confusione e imprecisione, questo pensiero di Darwin rappresenta una pregante metafora che racchiude un significato che ben si sposa – non solo con la logica sociale – ma anche con la questione scientifica attuale.

Si è alla ricerca di una legge universale divina, di una religione alimentare monoteista alla quale aderire e prestare assoluta fede; si è nell’indagine dell’Uno tra mille stili alimentari proposti e loro sub sfaccettature (Vegano o carnivoro? Colazione o digiuno mattutino?
e via dicendo) ignorando il superamento di tale prospettiva dogmatica e aderendo a un “aggiornamento reinterpretativo” fatto di studio, continua analisi su casi e modifiche evolutive; nella fattispecie l’approfondimento di ogni circostanza concernente il sistema-persona in cui si decida se la colazione o lo specifico integratore possa interfacciarsi efficacemente nella realtà dell’individuo analizzato.

Il caso degli alimenti “light”

Nella struttura di molte scoperte scientifiche la ragione e l’intuizione sono protagoniste principali del processo di nuove creazioni. Nella cerchia di queste rientrano i casi: sovrappeso e obesità.

Per far fronte al loro insistente incremento i ricercatori, tra i vari metodi dimagranti, hanno creato una vera e propria “mimesi alimentare”, fatta di inganni e illusione sensoriali.

Il criterio sarebbe attribuibile ad una intuizione secondo cui deprivare caloricamente un alimento lasciandone la sua componente sensoriale (principalmente sotto forma di gusto) può evitare l’introduzione di quel surplus di calorie che faciliti il dimagrimento o, quantomeno, la sottrazione all’eccesso ponderale.

Il comportamento alimentare concerne le nostre scelte in base all’atteggiamento imposto dalle informazioni che ricaviamo quotidianamente da strumenti mediatici che a volte possono rivelarsi fallaci. È il caso degli “alimenti light”, iperpubblicizzati come possibilità dietetiche e salutari ma che invece, spesso, si sono dimostrati un rimedio non solo privo
di efficacia ma addirittura dannoso.

Diversi studi, da Helen Hazuda, direttrice della Divisione di Clinica Epidemiologia, a Tordof (1990) a Levin (1997), Raveln (2002), affermano che nel momento in cui ingeriamo qualsiasi alimento (comprese le bibite) che imita il sapore dolce della sostanza originaria (es. aspartame) “è come se l’ipotalamo ricevesse un segnale di assunzione di zucchero e quindi, in seguito, attivasse quei meccanismi finalizzati al reperimento effettivo di quegli zuccheri che l’organismo si era predisposto a metabolizzare”.

In seguito a questo “tradimento” nutrizionale – attribuito all’infedeltà dell’assunzione di artefatti alimentari – consegue l’intervento di processi di difesa da parte dell’organismo, come l’aumento del senso di fame.

Un ricercatore della facoltà di Economia della Northwestern University (Texas), esaminando i dati di Nielsen dal 2002 al 2006, ha evidenziato come proprio gli americani obesi preferiscano le bibite light. Katel Patel presentando la ricerca The effectiveness of food taxes at affecting consumption in the obese: evaluating soda taxe, ha avvalorato quanto riportato in questi studi.

Da questa scena occorre aprire un sipario su un’altra confusa questione rappresentata dal binomio farmaco/integratore e iniziare a scomporlo con due precisazioni: l’incomprensione e la disperazione.

Il binomio farmaco/integratore

In primo luogo è pur vero che talune delle impennate immaginative più audaci concernenti questa tematica restano indigeste a chi non ha denti per quel pane (incomprensione),
ed è così che si spiegano le larvate stroncature di logica attribuibili alla mescolanza tra farmaco e integratore.

In secondo luogo, sono sempre stato dell’opinione secondo cui l’essere umano oscilla tra una insistente ricerca di equilibrio e la sua natura opposta e contraddittoria: molte persone sono contrarie agli integratori, disapprovandoli – poiché li confondono con i farmaci -, fino a quando, nella disperazione e nell’angoscia del sovrappeso o di un corpo gracile, sono disposti a prendere di tutto, iniziando proprio dai farmaci.

Ed è qui che la questione prende peso e s’infuoca fino a giustificare l’utilizzo osceno di farmaci non ben distinto da quello degli integratori alimentari e, a volte, utilizzati sotto una sindrome di onnipotenza (come se non avessero effetti collaterali) o deridendone la nocività se paragonata a quella di sostanze legali pur sempre dannose (come ad esempio il fumo di sigaretta).

Distinzioni importanti

Raggiungendo il nucleo del discorso, per integratori intendiamo riferirci a quella classe
di componenti che rappresentano veri e propri principi di alimenti concentrati, come la creatina (l’integratore più studiato al mondo), le proteine in polvere, le vitamine e via dicendo; oppure piante, come il Tribulus terrestris stimolatore endogeno di testosterone, anche se, erroneamente, si riferisce a quest’ultimo come “integratore di testosterone”. Ed è qui che subentra la confusione in quanto anche un farmaco può integrare un deficit organico.

Ma la differenza tra i due (integratore/farmaco), sostanzialmente, sta nel loro indice terapeutico (rapporto tra dose letale e dose efficace) e negli effetti che possono produrre all’interno dell’organismo. In altri termini, riferendoci sempre all’integratore Tribulus terrestris, potremmo stimolare dall’interno le cellule deputate alla produzione del testosterone non creando nessun tipo di reazione o autoregolazione (feed-back) negativa da parte dell’organismo, di contro come avviene con l’assunzione dei farmaci aventi come principio attivo il testosterone. In seguito a quest’ultimo l’organismo attua delle misure di contrasto inibendo la produzione interna di testosterone tramite il blocco della funzione di alcune ghiandole fino allo smaltimento del suo eccesso.

Inoltre, per quanto concerne l’emivita e l’intensità del farmaco, si comprende bene come ci sia differenza tra l’assumere della caffeina a compresse (integratore) oppure delle anfetamine (farmaco), per scopi dimagranti. Il farmaco, a differenza dell’integratore, possiede un’intensità e durata molto maggiori che possono creare gravi effetti collaterali attribuibili non soltanto alla sua fase di assunzione ma anche a quella di sospensione (effetto rimbalzo).

Per la questione integratori, ormai il marketing ha reso oltre l’80% di loro inutile o scarsamente efficace.

Come intercettare la dose efficace?

C’è da distinguere, dunque, tra integratori scientificamente dimostrati (la creatina è uno
di questi) a quelli accreditati scientificamente (di cui non è detto che sia altamente discutibile la loro efficacia) e forme di intolleranza, maldigestione o malassorbimento nei soggetti che ne fanno uso.

Altresì consigli sul loro dosaggio e tempo di somministrazione variano da paese a paese cosicché intercettare la dose efficace (anche in vista del proprio peso, necessità biochimiche, livello di stress, obiettivo e via dicendo) diventa un’ardua impresa.

Claudio Lombardo

Laureato in «Scienze Organizzative e Gestionali», «Scienze e Tecniche Psicologiche» (con tesi di laurea: “Ipotesi d’intervento preventivo sul sovrappeso e obesità in una prospettiva psico-socio-biologica”), «Processi Cognitivi e Tecnologie» nonché iscritto alla facoltà di «Scienze dell’Alimentazione».  È ricercatore presso Science of Consciousness Research Group dell’Università di Padova.  È autore dei libri: Iscriversi in palestra e continuare ad andarci; La scienza del dimagrimento; Dal mondo del sovrappeso all’universo dell’obesità; Non sono un Algoritmo!  È coautore dei libri: La dipendenza affettiva e sessuale tra normalità e patologia; La violenza al di là del genere: quando la vittima è lui; Il corpo nell’arte. Per informazioni consultare il sito internet: www.claudiolombardo.it

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