La cultura del servizio al cliente - La Palestra

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Gestione

La cultura del servizio al cliente

Oltre alla tecnica di vendita, è necessario saper gestire il rapporto col cliente, con entusiasmo, umiltà e disponibilità

Il nostro settore, come tanti che hanno come fulcro del loro interesse il rapporto col cliente, si interrogano da sempre su come offrire un sevizio di qualità; su come riuscire a conquistare la fiducia ed orientarla verso la fedeltà nel tempo; su come sorprendere ed entusiasmare. Personalmente ho partecipato a decine di incontri con questo tema e riconosco l’importanza di trovare delle risposte convincenti in quanto molto spesso il successo di un’azienda dipende anche da queste risposte.

Io distinguerei tre macro aree relative alla qualità del servizio:
– Prestigio e qualità delle strutture
– Procedure operative; iter di gestione del cliente
– Qualità delle relazioni.

Per ciò che concerne i primi due punti, ritengo che molto sia attinente al tipo di servizio che si eroga ed alla mission aziendale, anche se riconosco che ci sia molto da migliorare sul know how riguardante questi due argomenti. Mi vorrei concentrare invece sul terzo punto perché lo ritengo centrale nel nostro settore (ma non solo nel nostro).

Una questione culturale
Il mondo del fitness manca totalmente di cultura del servizio al cliente. I nostri operatori faticano molto a impostare relazioni gratificanti con i loro clienti qualsiasi sia il ruolo che ricoprono. Occupandomi spesso di formazione, mi chiedo spesso cosa si possa fare per riuscire ad ottenere questa sensibilizzazione da parte delle risorse umane. Ovviamente penso che avere conoscenza delle tecniche comunicative e di vendita sia fondamentale per riuscire nell’intento ma penso anche che ci sia qualcosa di più. Ripenso ad alcuni viaggi turistici fatti in passato e al servizio che ricevevo dagli operatori del luogo e mi vengono in mente alcune esperienze di eccellenza nei servizi ricevuti; ma riflettendoci, molto spesso, questa “eccellenza” era erogata da personale di altra cultura, quasi come se fosse culturalmente intrinseco. Così, spesso, mi sono ritrovato a pensare che forse alcune battaglie legate a ricreare quelle sensibilità relative alle attenzioni ai clienti fossero perse in partenza perché attinenti ad una cultura profonda su quegli aspetti, insegnata da sempre a quelle persone e che trovavano un naturale sbocco nell’ambito professionale ma che risiedevano nel profondo di quella persona e che ne rappresentavano l’identità. Se penso al tradizionale rito del the nelle culture orientali comprendo quanto sia interconnessa la struttura educativa del servizio, insegnata in anni di apprendimento con quella “professionale”. Così mi trovo a pensare che mai nelle nostre culture ciò sarebbe possibile. Una cultura così poco orientata a coltivare valori come il rispetto, l’altruismo, l’abnegazione, l’umiltà, come può contribuire a costruire un professionista che sia autenticamente orientato a “servire”, nel senso più nobile del termine, l’altro? Mi vengono in mente decine di collaboratori che negli anni ho visto intenti a trovare sotterfugi atti a finire il proprio turno con mezz’ora di anticipo, per tornare a casa il prima possibile, e mettere in campo furberie di ogni genere per fare il minimo sforzo possibile sul lavoro, totalmente orientati a ciò che ricevono e non a ciò che danno. E sono gli stessi che si spazientiscono alla seconda obiezione del cliente, visto quasi sempre come uno scocciatore, che guardano male l’avventore che entra in palestra per ultimo e pensano: “e io avevo già spento i macchinari e ora mi tocca riaccenderli”; così concentrati sul proprio punto di vista e così poco disponibili a riconoscere quello dell’altro. Le piccole meschinità quotidiane immerse nel brodo della mediocrità; le furberie giustificate sempre da qualche torto subito; lo sforzo quotidiano a livellare sempre verso il basso le proprie performance. I costanti tentativi di trovare sempre gli alibi giusti atti a giustificare il mancato lavoro o il mancato obiettivo. “Per quello che ricevo faccio già troppo” sembra essere il pensiero comune. E allora, come è possibile costruire professionisti della relazione capaci di interpretare i bisogni dei propri clienti, se non addirittura anticiparli, sorprendere per cortesia erogata, capaci di donare quella disponibilità speciale che farebbe la differenza, se il tessuto di pensiero generale si ciba invece di così tanta avarizia ed egoismo?
Ogni tanto mi capita anche di incappare in qualche contesto di eccellenza nel servizio ma la sensazione che si avverte è sempre quella di un occhio vigile che controlla con ferrea disciplina il tutto, pronto ad intervenire tempestivamente e con fermezza quando non viene raggiunto l’indice di performance definito e manca invece la sensazione che quelle persone trovino soddisfazione ed orgoglio a svolgere con precisione il proprio lavoro ma che anzi ne accumulino frustrazione per un contesto che li spinge ad essere oltremodo “servili ed umiliati”.

Il giusto atteggiamento
È tutto qui il segreto del servizio al cliente eccellente: farlo con entusiasmo ed essere orgogliosi di ciò che si fa. Essere appassionati di cortesia e disponibilità per essere persone speciali perché, anche quando è più difficile, riusciamo a donare un sorriso autentico, perché ricambiamo con attenzione la superficialità altrui, con cortesia la scortesia, con generosità l’egoismo, con eccellenza la mediocrità. Io penso che non sempre possiamo scegliere il lavoro che facciamo ma sicuramente possiamo scegliere come farlo ed in questa scelta sul “come” noi possiamo trovare valore nelle nostre giornate e trovare soddisfazione professionale; possiamo costruire un percorso di cui essere orgogliosi. È certamente più difficile fare ciò, richiede più sforzo, è una strada in salita che tutti i giorni ci costringe a confrontarci con i nostri limiti ed in molti casi è molto più confortante rinchiudersi in un paio di buoni motivi per fare meno sforzo, ma penso che la gratificazione finale sia così diversa che valga tutta la fatica richiesta. Forse non si può ambire a cambiare una cultura così radicata nelle persone per ottenere professionisti del servizio al cliente ma possiamo impegnarci tutti a crederci un po’ di più e contribuire nei nostri contesti lavorativi ad “iniettare” tutti i giorni il germe del “servizio”, qualsiasi sia il nostro ruolo e qualsiasi sia il contesto, cominciando dai comportamenti di tutti i giorni: posso io, responsabile commerciale, chiedere al mio personale di erogare quel tipo di servizio quando io per primo, nel relazionarmi con loro, manco totalmente di tutti quegli ingredienti che invece chiedo a loro stessi di utilizzare? Ed io imprenditore posso pretendere una cultura del servizio eccellente quando quotidianamente non “inietto” altro che virus tossici?
Nessuno è esente da questa sfida nelle nostre aziende, nessuno può dire “non mi riguarda” ed altrettanto nessuno può trincerarsi dietro un “non lo fanno gli altri” per non mettersi in gioco! Prima che con i clienti, la cultura del servizio al cliente va esercitata con noi stessi, le persone che ci circondano, i colleghi ecc., attraverso l’ascolto, la comunicazione empatica, l’assertività, il rispetto e l’umiltà. Non ci si può mettere un costume e recitare, bisogna essere ciò che si vuole comunicare. Poi arrivano anche le informazioni, la formazione, la cultura, i libri e i corsi su questi argomenti, poi o anche insieme, ma l’esperienza di anni nell’ambito formativo mi ha insegnato che un corso o un percorso formativo penetra nel soggetto nella misura in cui ognuno gli permette di fare, e questa misura è direttamente proporzionale alla sensibilità specifica che il soggetto ha su quel determinato argomento. E questo vale tanto di più quando gli argomenti sono legati alle relazioni umane e alla comunicazione. E ve lo dice uno che ne ha accumulata tanta di frustrazione derivata dalla sensazione dell’inutilità dei suoi corsi di formazione. La tecnica è il mattone che serve a costruire l’impalcatura dell’arte, senza la quale l’arte non potrebbe ambire ad essere speciale. Nessuna opera d’arte è stata concepita da un artista che non possedesse una tecnica sopraffina nella materia specifica dell’opera ma la tecnica, anche la più sublime, non garantisce affatto la creazione di un opera d’arte. Per cui, traslato sull’ambito servizio al cliente, penso che sia necessario rifornire i nostri contesti lavorativi di nuovi stimoli, nuove sensibilità che possano dare voglia di imparare le tecniche e diventare professionisti ma che si cibano di valori; in quanto una persona che si esercita tutti i giorni sul tema dell’eccellenza nel servizio al cliente sta, soprattutto, prestando un eccellente servizio al cliente più importante: se stesso.
Francesco Iodice

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